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Intervista a Franco Fava sul suo libro in uscita dedicato a Jesse Owens

Il 27 maggio uscirà Jesse Owens. La Pantera Nera che umiliò Hitler, biografia dell’atleta scritta da Franco Fava e illustrata da Alessia Coppola. L’intervista all’autore esce in ocassione di una data molto particolare; infatti, il 25 maggio è il giorno in cui nel 1935 Jesse Owens stabilisce ben sei record del mondo ai Big Ten Campionships di Ann Arbor: una data così importante da essere ricordata, nella storia dello sport, come Giorno dei Giorni.

Perché i giovani dovrebbero conoscere la vita di Jesse Owens? Quali insegnamenti ne possono trarre?

La storia di Jesse Owens è lo spaccato di una particolare quanto drammatica fase storica che va ben al di là del pur significativo aspetto sportivo.  Ed è proprio attraverso le sue imprese ai Giochi olimpici di Berlino del 1936, in piena epoca nazista, che abbiamo potuto apprendere quanto la segregazione razziale fosse ancora presente a tutti i livelli negli Stati Uniti. Con la popolazione nera collocata all’ultimo livello della scala sociale anche quando si trattava di campioni dello sport. Tutto questo nonostante l’abolizione della schiavitù fosse avvenuta nel secolo prima. Conoscere la storia di Owens è conoscere anche le divisioni razziali, politiche e religiose che attraversavano l’Europa in quegli anni. Ideologie e culture, le cui conseguenze hanno condizionato e continuano a influenzare drammaticamente le nostre società ancora oggi.

 Tenacia e strenua volontà di non tirarsi indietro di fronte alle sfide sono aspetti peculiari della figura di Jesse Owens. Quanto hanno contribuito la sua storia familiare e la difficile condizione degli afroamericani all’epoca a consolidare in lui questi elementi?

Le origini di Jesse Owens, cresciuto in una famiglia di agricoltori e il cui nonno era ancora schiavo in una piantagione di cotone negli Stati del Sud, contribuirono senza dubbio a rafforzarne la volontà di ricercare attraverso lo sport quello che la società civile gli aveva negato in quando afroamericano. Anzi, credo che a un certo punto della sua carriera a alla determinazione di riscatto si sia aggiunta anche la volontà di denuncia di una condizione discriminatoria che veniva addirittura avallata dalla Casa Bianca. La scusa dell’allora presidente Roosevelt di escluderlo dagli invitati al ricevimento seguito ai successi di Berlino 1936, con la giustificazione di «non voler turbare l’elettorato razzista» in prossimità delle elezioni, sta lì a dimostrarlo.

La forza fisica di Jesse Owens coincideva con la sua forza interiore. Da dove derivava, secondo lei, la sua formidabile energia?

È stato dimostrato come la particolare abilità tecnica, unita a caratteristiche muscolari e potenza fisica da parte di atleti afroamericani, possa essere definita in un certo senso frutto di una selezione naturale legata alle particolari sofferenze lavorative, e non solo, cui erano sottoposti gli schiavi. Una selezione che già avveniva in modo drammatico nella traversata di questi dalle coste dell’Africa occidentale, fino ai Caraibi e negli Stati del Sud. Condizioni terribili, cui solo i fisici più dotati riuscivano a sopportare. Ma per Owens non c’era solo talento, o forza bruta, in lui conviveva anche una integrità morale che ne ha contraddistinto tutta la vita, anche dopo gli exploit sportivi.

Nonostante le sue incredibili performance sportive e l’eccezionalità dei suoi record Jesse Owens dovette sopportare innumerevoli ingiustizie fino alla scelta di lasciare l’atletica a soli 23 anni. Come sarebbe cambiata, secondo lei, la storia dello sport se Jesse Owens avesse continuato a gareggiare?

Per un campione immenso come lo fu Owens, oggi sarebbe inconcepibile abbandonare l’attività agonistica a soli 23 anni. L’umiliazione che fu costretto a subire nel suo stesso Paese anche dopo i record e le medaglie olimpiche, contribuirono certamente alla decisione prematura di appendere le scarpette al chiodo. Ma va ricordato come allora l’atletica era uno sport rigidamente amatoriale. Cioè era ritenuto illecita qualsiasi forma di guadagno come provente dell’attività sportiva. Quindi, abbandonare l’agonismo per costruirsi una famiglia non era una scelta ma una necessità. Se avesse continuato a correre o saltare, probabilmente non avrebbe aggiunto molto al valore tecnico delle sue prestazioni. Owens era un talento naturale e certe metodologie di allenamento allora non erano note. Del resto, poi, il suo record del mondo nel salto in lungo durò bene 25 anni, fino al 1960.

Quella tra Jesse Owens e Carl Ludwig Long è la storia di una profonda amicizia. Quale messaggio è in grado di trasmettere a ragazzi e ragazze?

L’essenza dello spirito olimpico è amicizia, fratellanza e condivisione nella tolleranza. L’opposto della discriminazione per razza, religione, politica o ceto sociale. Non è un caso che proprio nello sport ritroviamo gli esempi più belli di amicizia non solo tra compagni di squadra, ma anche e soprattutto tra avversari. Non è raro vedere la nascita di una vera e propria fratellanza dall’incontro tra due campioni, simboli di realtà contrapposte. E’ questo un vero antidoto all’odio. La testimonianza dell’amicizia tra Owens e Long, entrambi vittime di due mondi pervasi da ideologie e pregiudizi della specie più infima, sia andata ben oltre il semplice rispetto reciproco in gara. Una amicizia che durò oltre il destino tragico cui andò incontro il soldato Long pochi anni dopo lo struggente duello in pedana a Berlino 1936.

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