Attraverso questa intervista a Riccardo Rita, scopriamo di più su Molière
Riccardo Rita, infatti, ha curato questa edizione per ragazzi, edita da Armando Curcio Editore, contenente tre opere del grande commediografo: L’avaro, Il misantropo e Il malato immaginario.
Nelle sue opere Molière riesce ad associare la risata a una riflessione amara sulla vita. Come è riuscito a esprimere, nell’edizione da lei curata rivolta a ragazzi e ragazze, questa particolare abilità del drammaturgo affinché potesse essere compresa dal giovane pubblico?
Molière faceva satira, e la satira è appunto questo: ridere dei difetti, delle miserie e delle illusioni del nostro tempo. La satira, quando riguarda cose fondamentali come i rapporti tra le persone, l’amore, l’amicizia, le virtù e i vizi è qualcosa che i bambini sanno riconoscere e accogliere con gioia. Naturalmente bisognava ridurre le opere, e le strade erano due: fare una specie di riassunto, un bignami dal linguaggio semplificato, oppure riscriverle daccapo, restando fedeli alla trama, ma, allo stesso tempo, riprogettandola perché si dipanasse in poche pagine. E io ho preferito quest’ultima. Da ragazzo recitavo in una piccola compagnia teatrale. Quando inscenavamo lavori eccessivamente lunghi, il regista faceva molti tagli. È lì che ho imparato che il modo migliore per accorciare un’opera teatrale senza sfrondarne la bellezza è ridurre, innanzitutto, il numero dei personaggi all’essenziale. In questo modo ho potuto lasciare spazio alle emozioni, dando a ciascuno il tempo di dire le cose importanti, senza mai sacrificare il linguaggio ricercato ed evocativo di Molière. Lui giocava con le parole ed è il gioco, per gli scrittori così come per i bambini, la chiave di tutto.
Quali insegnamenti possono ricavare i giovani dalla lettura di queste opere e perché dovrebbero imparare a conoscere Molière?
Quel genere di insegnamenti che non possono essere insegnati ma solo mostrati. Il motto del grande scrittore americano Ernest Hemingway era «Show, don’t tell», mostralo, non starlo a spiegare. Ha mai notato in che modo scrutano il mondo i bambini? Se ci fa caso, loro in realtà non guardano le cose, loro le vedono. Leggendo una storia scritta con onestà e rispetto per la loro intelligenza, i bambini ne colgono istantaneamente il nocciolo, così come, allo stesso modo, sono velocissimi a smascherare un racconto che non abbia un cuore. Leggendo questi distillati di Molière credo possano avere l’occasione di riconoscere nel drammaturgo francese un loro simile. Un bambino vispo, dallo sguardo affilato, capace di vedere il mondo con i loro stessi occhi.
Qual è stato l’aspetto più complesso da raccontare nella stesura dei testi?
Non so se lo chiamerei un aspetto complesso, ma di certo ho cercato di fare del mio meglio per preservare le atmosfere delle opere, anche a livello filologico e lessicale. I bambini sono tutti narratori: amano le parole. Volevo a tutti i costi conservare la ricchezza lessicale di Molière e il suono stesso delle sue parole. Di solito le riduzioni sono sempre in prosa, ma, nel caso del Misantropo, ho preferito conservare l’andamento metrico e rimato dell’edizione francese integrale. Il metro e la rima non sono altro che il luna-park delle parole, una giostra variopinta in cui spero che i lettori possano passare momenti di gioia e divertimento.
Il finale de Il misantropo non è lieto ma racchiude un’accorata protesta contro le maschere, le ipocrisie e le finzioni che spesso costellano l’animo umano e la società. In fondo, nonostante il finale amaro, la commedia lascia un senso di speranza. Cosa può ricavare da questa storia il giovane pubblico?
Lo confesso: Il misantropo è la commedia di Molière che più amo. Però, come lei fa giustamente notare, è anche l’unica, tra quelle proposte in questo volume, a non avere un lieto fine. Nel finale la tensione sale, tutti i personaggi si ritrovano insieme in un vortice rocambolesco in cui i nodi vengono al pettine. Poi, d’un tratto, questa tensione viene sciolta nell’amarezza. Molti penserebbero che è troppo, per dei bambini. Il punto però, è che Il misantropo è sì una protesta contro l’ipocrisia e le meschinità, ma è anche una commedia sull’amicizia e sull’amore incondizionato. Un bambino di sette, otto o nove anni ha già collezionato alcune delusioni, nella sua breve vita. Non importa quanto piccole siano state: una delusione è una delusione, ed è sempre terribile. Sanno bene, i bambini, cosa si prova a essere derisi, esclusi. Conoscono il sapore della solitudine e dell’ingiustizia. Di questa loro sapienza emotiva e sentimentale, dobbiamo avere rispetto. Non possiamo censurarla. Oltretutto, Molière, in questa commedia ci suggerisce un modo per guarire, ogni volta, da qualsiasi delusione, dando spazio a quel che conta veramente. Da qui deriva il senso di speranza cui alludeva prima. Una speranza agrodolce, intensa, che mi auguro possa ispirare i lettori a vivere la vita con integrità e coraggio, perché, per quanto potremo essere tristi, per quanta voglia avremo di fuggire via, ci sarà sempre al nostro fianco qualcuno pronto a rincorrerci e consolarci.