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La Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale è l’occasione giusta introdurre una novità in uscita ad aprile, Nelson Mandela. Il perdono è un’arma potente, scritto da Gianluca Grassi e illustrato da Filippo Barbacini. Si tratta di un libro che permetterà alle giovani generazioni di conoscere l’impegno contro la discriminazione razziale da parte di un autorevole politico e tenace attivista per i diritti civili. Verrà, infatti, delineata la sua storia e le lotte da lui condotte contro il regime dell’apartheid, in favore dell’uguaglianza, della libertà e della democrazia.

Le pacifiche proteste popolari contro la politica dell’apartheid

Negli anni ’60 il Sudafrica visse un’esplosione di proteste contro la politica dell’apartheid. Queste manifestazioni pacifiche dimostravano il grosso impegno contro la discriminazione razziale e venivano organizzate per protestare contro le leggi e gli atti promulgati dal National Party (il Partito Nazionale composto da esponenti dell’estrema destra nazionalista) al solo scopo di limitare la vita del popolo africano e accentrare potere, denaro, lavoro e istruzione nelle mani dei bianchi. La polizia sudafricana adottava durissime forme di intimidazione e cruente misure per reprimere queste proteste pacifiche, facendo fuoco sui manifestanti disarmati e su uomini, donne e bambini in fuga.

A questo proposito, molti sono gli episodi riportati dallo stesso Nelson Mandala all’interno di Contro il razzismo, libro che racchiude la dichiarazione spontanea da lui rilasciata in apertura della fase di dibattimento del processo di Rivonia il discorso pronunciato a Cape Town in occasione della scarcerazione:

Nel 1961 si contavano a migliaia gli africani che fino ad allora avevano perso la vita a seguito delle tensioni razziali. Nel 1920, quando il famoso leader Masabalala era internato nel carcere di Port Elizabeth, ventiquattro dei tantissimi africani che si erano radunati per chiederne la liberazione vennero uccisi dalla polizia e dai civili bianchi. Più di cento africani morirono nel massacro di Bulhoek. Nel 1924, quando l’amministratore dell’Africa sudoccidentale mandò le truppe a soffocare la rivolta contro l’imposta sui cani, furono trucidati più di duecento africani. Il primo maggio 1950, diciotto africani caddero sotto i colpi della polizia nel corso dello sciopero. E il 21 marzo 1960, sessantanove africani inermi morirono a Sharpeville.

Le dure repressioni delle proteste pacifiche: il massacro di Sharperville

La Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, che ricorre ogni 21 marzo, è stata istituita nel 1966 dalle Nazioni Unite proprio per ricordare il massacro di Sharpeville del 21 marzo 1960, quando la polizia sudafricana represse una protesta pacifica, uccidendo 70 persone, tra le quali 8 donne e 10 bambini, e ferendone 180. I manifestanti stavano protestando contro una nuova ingiustizia, tra le tante perpetrate dal National Party, esemplificata nell’Urban Areas Act, più diffusamente conosciuto come Pass Law. Le Pass Laws erano, in sostanza, leggi che imponevano agli africani il possesso di un passaporto interno per poter circolare nel Paese. Questo assoggettava gli africani alla continua sorveglianza della polizia e alla libera azione dei funzionari che potevano decidere, ad libitum, di approvare o rifiutare il pass, decidendo quindi per l’esilio o meno della persona soggetta la controllo. Chiunque avesse smarrito il pass o ne avesse subito il furto poteva essere passibile di arresto e imprigionamento e veniva separato dalla sua famiglia. L’Urban Areas Act, in particolare, imponeva l’esibizione di un pass nelle aree riservate ai bianchi, dove gli africani potevano circolare solo se in possesso di un impiego regolare.

La discriminazione razziale perpetrata dal National Party

Gli esempi che seguiranno mostreranno l’assurdità delle norme attuate e l’insensatezza di una linea politica mirata all’intensificazione delle disuguaglianze tra i diritti politici dei bianchi e quelli dei neri. Proprio alla luce di questa politica così insensata, pervasiva e ingiusta, emerge ancora più nitidamente la forza e l’impegno contro la discriminazione razziale portati avanti da Nelson Mandela, che non solo riuscì nei suoi originari obiettivi democratici ma che istituì anche, come Presidente del Sudafrica dal 1994 al 1999, una Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission, TRC).

I provvedimenti politici, economici e scolastici

Il regime dell’apartheid, dunque, veniva portato avanti attraverso una serie di provvedimenti politici ed economici e tramite misure a livello scolastico che portavano alla inevitabile emarginazione degli africani. Ad esempio, Mandela ricordava come il National Party avesse bloccato i sussidi per la refezione nelle scuole africane, non permettendo agli scolari africani, che da queste dipendevano, di nutrirsi adeguatamente e garantendo solo a scolari bianchi di accedere alla scuola dell’obbligo senza costi.

Le leggi che limitavano il lavoro degli africani

Dal punto di vista economico, poi, esistevano leggi come l’Industrial Colour Bar, secondo il quale solo i bianchi potevano accedere alle mansioni più qualificate e ben retribuite dell’industria. Per gli africani era, inoltre, impossibile, ai sensi dell’industrial Conciliation Act, formare dei sindacati e organizzare scioperi, rimanendo di fatto senza tutele. Per non parlare del Native land act, che non permetteva agli indigeni di acquistare terre al di fuori delle riserve (solo il 13% del territorio sudafricano).

Mandela e il suo impegno contro la discriminazione razziale

Insomma, attraverso il libro in uscita ad aprile, Nelson Mandela. Il perdono è un’arma potente, edito da Armando Curcio Editore, i giovani potranno venire a conoscenza del lungo percorso e del grande impegno di Mandela contro la discriminazione razziale,  scoprendo l’immensità del sacrificio vissuto da questa autorevole personalità politica per portare il suo popolo alla libertà e conquistare la tanto combattuta uguaglianza dei diritti civili:

L’unica cura è modificare le condizioni in cui sono costretti a vivere gli africani e soddisfarne le legittime rimostranze. Gli africani vogliono un salario dignitoso. Vogliono un lavoro adeguato alle proprie capacità effettive, e non a quelle che attribuisce loro il governo. Vogliamo essere liberi di vivere dove lavoriamo, e non essere estromessi da una provincia perché non ci siamo nati. Vogliamo essere liberi di, ma non costretti a, vivere in case d’affitto che non saranno mai nostre. […] Ma soprattutto, Vostro Onore, vogliamo la parità dei diritti politici, perché in sua assenza le nostre menomazioni saranno permanenti. […] Non è vero che il suffragio universale porterà al predominio razziale dei neri. La divisione politica basata sul colore della pelle è totalmente artificiale; e quando sparirà, sparirà anche la dominazione di un gruppo etnico da parte dell’altro. L’ANC [African National Congress] combatte da un secolo contro il razzismo. Quando trionferà, com’è inevitabile, non modificherà la sua politica.

Flavia Palieri

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